“Orandum est ut sit
mens sana in corpore sano”
La sola cosa
auspicabile è che ci sia una mente sana in un corpo sano
Giovenale “Satirae”, X, 356
a cura di
Antonetta Cerasale e Anna Maria Savino
La
scuola è il luogo dove effettuare prove tecniche di vita. Siamo così convinte
che questa nostra affermazione-definizione sia estremamente fondata che ogni
giorno, spinte dalla consapevolezza di essere educatori, ci rechiamo:
-
in
quel luogo dove si incontra una
molteplicità di genitori, ognuno dei quali portatore di esperienze,
problematiche, certezze e insicurezze;
-
in quello stesso luogo dove si interagisce con
bambini che, giorno dopo giorno, anno
dopo anno, si affacciano alla vita pieni
di curiosità e desiderosi di apprendere tutto e subito;
-
in quel
luogo dove preadolescenti provenienti da ogni estrazione sociale, con
differenti e variegati bagagli culturali iniziano a voler affermare il proprio
Io, perseguendo a tutti i costi la
propria visibilità, legittima e dovuta a volte, però, negata, anche opponendosi a coloro che fino al quel momento hanno
percepito come i migliori esempi possibili da imitare: il papà e la mamma.
Qui
intendiamo esporre, anche se sicuramente
non in maniera esaustiva, la rilevanza e
il valore della pratica sportiva e
dell’attività motoria che, unite ad una
corretta alimentazione, all’apprendimento formale, informale e non
formale possono contribuire ad una formazione
completa e armonica di futuri
uomini e donne.
La
scuola è un passaggio obbligato attraverso il quale ogni bambino,
trascorrendovi alcuni anni della sua
vita, potrà essere istruito, educato e formato e dove dovrà trovare
l’opportunità di costruirsi una sua personalità. Questa gli
permetterà di affrontare la lenta uscita
dalla famiglia dalla quale dipende e che gli ruota attorno in maniera quasi esclusiva per
proteggerlo, per avviarlo ad una
progressiva autonomia e verso una realtà
nella quale avrà un ruolo e agirà autonomamente: la vita.
In
concorso con tutte le discipline scolastiche, l’attività fisica e sportiva aiuta il piccolo individuo a star meglio
fisicamente e moralmente sia con se stesso sia con gli altri, contribuisce a
creare un’identità equilibrata della persona, dà uno strumento di benessere
volto a migliorare la qualità della vita personale, collettiva e sociale.
La
pratica sportiva ha in sé quei valori che conducono al confronto schietto,
sincero e gioioso, all’incontro corretto e al rapporto amichevole. Insegna a
vincere senza arroganza e perdere senza
irritazione e astio, aiuta ad instaurare gli scambi interpersonali in
maniera equilibrata e armoniosa. Più che mai, quindi,
anche l’attività motoria e sportiva, proprio per queste sue intrinseche qualità,
può concorrere efficacemente ad affermare la cultura della condivisione, dell’accettazione
e dell’integrazione.
Il mancato sviluppo delle abilità motorie e
delle capacità coordinative nel periodo compreso tra i 6 e i 12 anni, è
ritenuto una perdita difficilmente colmabile in età successiva. L’educazione
motoria deve, quindi, rappresentare un obiettivo irrinunciabile della scuola
primaria e secondaria nella consapevolezza che corpo e mente sono due aspetti
inscindibili della persona e che una crescita armonica si realizza solo
attraverso lo sviluppo integrato e non dicotomico delle due dimensioni.
E’ ferma convinzione che il desiderio di pratica e di competizione
sportiva è avvertito da tutte le persone, quindi, anche da quelle che posseggono abilità diverse. Lo
sport rappresenta per tutti aggregazione,
socializzazione, desiderio di gareggiare. Lo ricorda la legge 104 all'art. 23 che
afferma e sostiene l'importanza delle attività di tempo libero per la qualità
della vita di questi bambini e bambine e ribadisce il loro diritto alle pari
opportunità. Con grande soddisfazione, ancora oggi a distanza di qualche anno,
ricordiamo gli ottimi risultati conseguiti dai nostri alunni nella categoria
“habilis” a Lignano Sabbiadoro dove si svolgono le finali nazionali dei Giochi
Sportivi Studenteschi per questa categoria.
In tale prospettiva, oltre a quella di istruire ed educare, la scuola si arricchisce ulteriormente:
- come luogo di aggregazione sociale anche pomeridiana, in un territorio come il nostro molto carente per gli adolescenti in questo ambito;
- luogo dove apprendere i fondamenti della sana alimentazione e di un corretto stile di vita che inducano a rivedere gli errori dell’alimentazione;
- come luogo privilegiato di esperienza formativa dove possono essere consolidati valori quali il civismo e la solidarietà, tanto più essenziali oggi, e quanto mai necessari contro i pericoli dell’isolamento, dell’emarginazione sociale, della devianza giovanile.
Riconosciamo il bullismo
Molti
sono i recenti fatti emersi sul disagio giovanile e sul bullismo, fenomeno in
crescita esponenziale nelle scuole. Questo fenomeno che inizia ad emergere nelle
classi della scuola primaria e secondaria di primo grado con comportamenti di disturbo, d’irrequietezza, di
iperattività, di difficoltà di apprendimento e di attenzione da parte di
qualche alunno prosegue nel giovane con
il mettere in evidenza la sua difficoltà
di inserimento nel gruppo ed il conseguente abbandono scolastico, che, in casi estremi, sfocia nella devianza sociale ed in comportamenti
trasgressivi verso sé e verso gli altri.
Ma
cos’è il bullismo?
“Il bullismo è un fenomeno complesso che andrebbe
affrontato cercando di evitare atteggiamenti semplicistici, quali ad esempio
l'estremo "giustificazionismo" nei confronti di chi
agisce con prepotenze ("era una ragazzata", "volevano
scherzare", "non pensavano che....", ecc.) o l'enfasi vittimistica
e drammatizzante in cui si tende a negare la pur minima corresponsabilità di
chi subisce o del contesto socio relazionale in cui il bullismo cresce e si
manifesta. Anche se i singoli episodi di prepotenza coinvolgono pochi bambini o
ragazzi, il bullismo è sostanzialmente un fenomeno sociale che
coinvolge il gruppo dei pari e la comunità di appartenenza dei soggetti
coinvolti, pertanto la sua riduzione passa anche attraverso il
rafforzamento della cultura della legalità e della responsabilità, individuale e
collettiva”. Oliviero Facchinetti[1]
Il
termine bullismo è la
traduzione italiana del termine inglese " bullying " letteralmente significa “intimorendo”
“che incute timore”, è utilizzato per
raggruppare un insieme di comportamenti in cui qualcuno fa o dice cose per dominare altri, esercitando un’oppressione psicologica o fisica, ripetuta e continuata . Nel
significato inglese del termine vengono
compresi sia i comportamenti del "bullo" che quelli del "perseguitato"
Purtroppo,
anche se i “bulli” che agiscono con prepotenza hanno vissuto o vivono
condizioni di disagio psico-emotivo e socio-educativo, con il loro
comportamento causano sofferenza alle “vittime” che, in alcuni casi, diventano
una specie di capro espiatorio delle rabbie del “bullo” o del gruppo che fa a
lui capo. Il bullismo è quindi sempre espressione di disagio e di malessere. Il problema, però,
riguarda anche coloro che sanno, assistono e non intervengono.
L’educazione
motoria e sportiva può rappresentare una corsia privilegiata per combattere anche
questo fenomeno ormai sociale. Preadolescenti che presentano scarsa autostima,
presunta o costruita dall’ambiente nel quale vivono, possono sicuramente potenziarla
con l’aiuto di figure adulte di riferimento in grado di ascoltarli, guidarli e
di essere presenti empaticamente.
Riteniamo
di fondamentale rilevanza l’inserimento
delle iniziative a carattere motorio e
sportivo all’interno di un percorso curriculare in stretto collegamento con
altre aree disciplinari e con l’educazione alla convivenza civile in tutte le
sue accezioni relative al benessere psico-fisico degli allievi nel quadro di un
armonico sviluppo della personalità.
Il
progetto sviluppato dai docenti di Sostegno, diplomati ISEF, e Educazione
motoria e sportiva e finanziato dal Ministero della pubblica Istruzione e dalla
Direzione Scolastica Regionale per
Il
termine sport ha una lunga storia, traendo origine addirittura dal
termine latino deportare che tra i suoi
significati aveva anche quello di uscire fuori porta, cioè uscire al di
fuori delle mura cittadine per dedicarsi ad attività
sportive. Da questo termine derivarono il provenzale
e lo spagnolo “deportar” e il francese
“desporter”
(divertimento, svago); da quest'ultimo prese origine nell'inglese
del XIV secolo
il termine “disport” che
solo successivamente, intorno al XVI secolo,
venne abbreviato nell'odierno “sport”.
Lo studio dello sviluppo dello sport
nella storia umana e le sua quasi onnipresenza nell’educazione anche se, come
vedremo per scopi totalmente diversi da quelli che fin’ora abbiamo esposto, può
darci significative indicazioni sui cambiamenti sociali intervenuti nel corso
dei secoli e su quelli riguardanti la concezione stessa dell'attività sportiva
nelle varie culture.
La concezione dello sport come attività che coinvolge le
abilità umane di base, fisiche e mentali, con lo scopo di esercitarle
costantemente e così di migliorarle, per utilizzarle successivamente in maniera
più proficua, suggerisce che lo sport è
probabilmente antico quanto lo sviluppo dell'intelligenza umana.
Albori della civiltà
Per l'uomo primitivo l'attività fisica, priva dell'agonismo
dei nostri giorni, era solamente un modo molto utile per migliorare la propria
conoscenza della natura e la padronanza dell'ambiente che lo circondava. Egli,
quasi inconsciamente, la praticava negli spostamenti che con il tempo gli hanno
permesso di colonizzare l’intero pianeta. La sua attività fisica era,
anche, una danza propiziatoria, un rito
sacro o un movimento atletico ai fini della caccia e della sopravvivenza.
Mesopotamia
Attorno al IV
millennio avanti Cristo, presso le civiltà degli Assiro-Babilonesi, l’odierna
nazione irachena, l’attività fisica era legata ad espressioni di forza e di
destrezza, si esercitava il nuoto, l’equitazione, la lotta, ma erano discipline
praticate per poi venir usate con profitto in guerra. Naturalmente solo le
classi governanti vi si dedicavano.
Cina
Alcune
testimonianze datate attorno all’anno
Egitto
Le guardie
dei faraoni erano solite intrattenersi in incontri di pugilato e lotta verso il
Tempio di Luxor
Accesso al tempio di Luxor
Viale delle sfingi
Antica Grecia
Nell’Odissea
Ulisse ricorre al
pretesto di una gara di lancio
con l’arco per scacciare i Proci
che avevano insidiato sua
moglie, la sua casa, il suo
regno a Itaca, isola del Mar
Egeo di fronte alle coste
greche.
In Grecia lo sport assunse le caratteristiche di un fenomeno di larga diffusione, per alcuni
aspetti simile a quello dei tempi moderni, sia per il numero e l’importanza
delle competizioni, sia per la nascita dei primi casi di professionismo e
«divismo» da parte degli atleti più celebri. Per i Greci la forza e la bellezza
del corpo erano qualità molto apprezzate e davano prestigio quanto
l’intelligenza e la generosità d’animo.
Platone, particolare del dipinto ”
Il filosofo Platone (428-
Dalla prima alla tredicesima edizione non ci fu che una gara: la corsa veloce
di circa
Successivamente,
lo svolgimento dei Giochi seguì un programma fisso: la prima giornata era
dedicata alla cerimonia di apertura, nella seconda si disputavano le gare di
corsa, nella terza gli sport di combattimento (pugilato, lotta e pancrazio –
quest'ultimo era un tipo di lotta particolarmente violento in cui tutti i colpi
erano praticamente consentiti), nella quarta giornata si svolgevano gli sport
equestri e nella quinta giornata si gareggiava nel pentathlon, una gara
composta da salto in lungo, lancio del giavellotto, corsa, lancio del disco e
lotta.
A
quest’ultima disciplina partecipavano soltanto i due atleti che avevano
ottenuto i migliori risultati in tutte le altre prove: un ultimo combattimento
per un solo vincitore finale. L'ultima giornata era dedicata alla cerimonia di
chiusura con la solenne premiazione.
La specializzazione per la conquista degli allori olimpici e una graduale
decadenza di costumi portarono, già ai tempi dell’antica Grecia, alla nascita
del professionismo, alla quale contribuì anche la formula olimpica secondo cui,
insieme con il vincitore della competizione, si onorava anche la città di cui
egli era originario.
Agli
atleti furono concessi gradualmente l’esenzione delle imposte, l’alimentazione
a spese dell’amministrazione cittadina e ingenti premi in denaro.
Etruschi
Nell’Italia antica, l’attività
sportiva non ebbe la ricchezza di motivazioni e di sviluppi mostrati in Grecia. Gli Etruschi (VII-IV secolo a.C.)
celebravano giochi sportivi per lo più in occasioni di cerimonie funebri, ma
anche nell’ambito di spettacoli organizzati dalle comunità in concomitanza di
solennità cittadine e di particolari eventi politici. Gli atleti si cimentavano
in specialità come il lancio del giavellotto, il lancio del disco (con
rincorsa), il salto in lungo, la corsa, la lotta, il pugilato che veniva
praticato con l’ausilio di elaborati guantoni “cestum” costituiti all’ esterno
con strisce di cuoio e all’interno con morbida
lana.
Romani
Tra i Romani, le singole attività sportive
erano praticate per esigenze militari: i giovani si allenavano al Campo Marzio,
da Marte dio della guerra, e gli esercizi comprendevano l’equitazione, il tiro
con l’arco, la lotta, il lancio del giavellotto, la scherma e la corsa con le
armi. I Ludi, nati come celebrazioni in onore degli dèi, divennero grandi
spettacoli di massa, nelle quali il popolo aveva l’opportunità di sfogare
emozioni e impulsi violenti.
Una ricostruzione
dell'Anfiteatro Flavio, il Colosseo alla Mostra augustea della Romanità, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale a Roma.
Vaso romano
raffigurante il” ludus gladiatorius”
I Ludi erano di tre tipi: quelli scenici, che si
svolgevano in teatro, quelli gladiatori e quelli circensi. Questi ultimi s’imposero definitivamente in
età imperiale, Augusto ordinò i “Ludi saecularis” cantati dal poeta latino
Orazio. Di questi ludi
abbiamo una testimonianza diretta fornita da una iscrizione molto
dettagliata che ci informa che si ebbero
3 giorni e 3 notti ininterrotti di sacrifici e ludi scenici, ai quali si
aggiunsero 7 giorni di spettacoli, sia circensi che teatrali. La componente sportiva era
relativa, era evidenziata quella violenta e spettacolare. Lotta, pugilato, scontri armati uomo contro uomo e uomo contro
belva, nonché corse di bighe e quadrighe, erano le specialità più seguite, Alle
gare potevano partecipare di solito schiavi e liberti.
Medioevo e Rinascimento
Nel 520 d.C. l’imperatore Giustiniano decretò la
soppressione, perché considerate pagane, delle Olimpie di Antiochia. Nel
Medioevo la pratica sportiva faceva parte dei principi della cavalleria: alle
sette arti liberali[2] del
curriculum universitario, erano contrapposte altrettante abilità fisiche che andavano
acquisite mediante la corsa, il getto, la lotta, l’equitazione, la gualdana,
finta battaglia simulata da giovani armati, il torneo e le giostre. A partire
dal 1232 si hanno notizie dell’origine del Palio di Siena e alla fine del 1300
si diffusero i “ludus pilae cum palma”, progenitore del tennis, e la
palla a corda. Durante il periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, lo sport
fu inteso con le sue caratteristiche attuali, cioè non più legato a presupposti
di ordine etico-religioso. Nel XV
secolo Leon Battista Alberti, architetto, matematico e poeta genovese, alla
corte mantovana dei Gonzaga sostenne l’integrazione tra esercizi fisici e
l’insegnamento delle scienze e dei classici.
Nel 1423, Vittorino da Feltre sempre a Mantova fondò per
ordine di Gianfrancesco Gonzaga, la cosiddetta “Casa giocosa”,
,
Ritratto
di Vittorino da Feltre
esposto al Louvre, Parigi
Nella quale gli allievi, oltre che nelle lettere, venivano
educati alla pratica dell’equitazione, dell’arco, della scherma e della
lotta.
Seicento, Settecento, Ottocento
Fin dall’inizio del Seicento si moltiplicarono gli
studi e le riflessioni dedicati all’importanza dell’attività fisica sportiva.
Diversi medici pubblicarono testi sugli effetti psicologici della pratica
sportiva, definendone il ruolo terapeutico e l’importanza igienica. Filosofi e
letterari come Voltaire, d’Alembert, Diderot e Rousseau, indicarono nei loro
trattati quanto l’attività fisica fosse determinante ai fini della formazione
completa ed equilibrata dell’essere umano. John Milton, nel «Trattato
sull’educazione» che scrisse nel 1644, proponeva per i figli dei gentiluomini
un regime fisico di tipo spartano affinché essi potessero divenire comandanti
perfetti al servizio del loro paese. John Locke, nel 1693, pubblicò «Pensieri
sull’educazione», in cui raccomandava di fare molta ginnastica. Nell’Europa del XVIII secolo si andava
affermando una concezione dell’educazione fisica basata su tre scopi
fondamentali: militare, sportivo (pedagogico) e igienico (medico). Soprattutto
in Germania, Svezia e Inghilterra, grazie ad importanti figure di scienziati,
filosofi e medici, la ginnastica e l’educazione fisica divennero materie di
studio ed acquistarono progressivamente un’importanza crescente. A Friedrich Ludwig Jahn va il merito di cercare
di classificare i vari esercizi, l’invenzione di nuovi attrezzi come la sbarra
fissa, il cavallo, le parallele. Il suo metodo d’insegnamento era basato
principalmente sulla forza, la disciplina e sull’allenamento. Jahn riconosceva
un ruolo importante all’aspetto psicologico e a quello educativo, la disciplina
era rigorosissima, al fine di ottenere la resistenza alla fatica e al dolore, e
dure erano le prove di ardimento, per inculcare virtù pratiche per la vita
sociale e per la guerra.
Nel nuovo Regno d’Italia
Dobbiamo arrivare alla fine dell’ottocento per
trovare una prima obbligatorietà degli esercizi fisici nelle scuole, nella Legge 7 luglio 1878 di Francesco De
Sanctis, un illustre letterato che scritte la storia della Letteratura Italiana,
si fissava l’obbligatorietà della
ginnastica negli istituti elementari, secondari, normali e magistrali maschili,
poiché vi si intravedeva“pure lo
scopo di preparare i giovani al servizio militare”. Restava il problema dell’educazione fisica
femminile, allora alcuni dicevano che le donne non erano portate per questa
pratica mentre altri affermavano che la ginnastica, impegnando anche l’intelletto
oltre al fisico, poteva impegnare le donne
nella parte intellettiva.
Sono così tracciate delle direttrici che, con una
logica perpetuata sino alla Grande Guerra, così era chiamata la prima guerra
mandiale, e in seguito dal fascismo,
introdurranno delle modalità d’addestramento “paramilitare” in seno alle
istituzioni scolastiche.
Pierre
de Coubertin
La
crescita e l’affermazione dello sport nel Novecento si deve all’opera costante
e lungimirante di molti personaggi, ma, per unanime riconoscimento, fu il
francese Pierre de Coubertin il principale artefice di questo sviluppo. Rimproverando
alla classe intellettuale francese di «sedere troppo spesso sul proprio
cervello, trascurando il fisico», de Coubertin cercò di costruire una propria
teoria relativa all’educazione fisica, restando incredibilmente affascinato
dalle teorie di Thomas Arnold, direttore della celebre scuola di Rugby, in Gran
Bretagna. Leggendo il celebre romanzo “Gli anni di scuola” di Tom Brown (1857)
di Thomas Hughes, un allievo di Arnold, de Coubertin si commosse scoprendo la
comprensione generosa e affettuosa che il professore inglese aveva dimostrato
verso i suoi allievi e fu colpito dai racconti dei giochi e delle attività
sportive che coinvolgevano quei ragazzi. Il barone francese si rese presto
conto, con eccezionale intuizione, che lo sport, la ricreazione fisica e la
ginnastica nelle scuole potevano costituire uno strumento potente per
accelerare la democratizzazione e instaurare rapporti più civili tra le
nazioni. A questi concetti de Coubertin collegò quanto aveva appreso dai suoi
studi sull’antica Grecia sui Giochi di Olimpia. Frattanto, tra il 1875 e il
1881 una spedizione tedesca diretta da Ernst Curtius aveva riportato alla luce
i resti di Olimpia, la mitica cittadina degli agoni, coloro che si scontrano,
cioè gli atleti Greci; a partire dal 1889, all’età 26 anni, De Coubertin
cominciò a sognare di poter trasporre le antiche usanze nei tempi moderni. Superate
le iniziali difficoltà e resistenze, dal 16 al 24 giugno 1894 si tenne alla
Sorbona, la famosa università parigina, un congresso composto da 79 delegati in
rappresentanza di 14 nazioni e 49 società sportive, alla presenza di un folto
uditorio; fu fondato il CIO, uno speciale comitato (di cui De Coubertin si
riservò il ruolo di segretario), che il 23 giugno 1894 decretò che i Giochi
Olimpici sarebbero tornati a vivere. Il CIO decise che l’edizione inaugurale
dei Giochi, fissata in Grecia in coincidenza con le festività di Pasqua, si
sarebbe svolta nei giorni
Dal 5
al 15 aprile 1896
Il Manifesto pubblicitario di ATENE 1896
Il
compito più gravoso fu la ricostruzione del vecchio e grande stadio Panallenico
di Atene.
Inaugurazione dello stadio di
Atene 1896
Ai
primi Giochi dell’era moderna parteciparono 13 paesi del mondo; 9 gli sports
contemplati.
De
Coubertin auspicò costantemente che i Giochi moderni fossero animati da una
devozione mistica e da un grande ideale, come in Olimpia 2500 anni prima. Egli
voleva che i Giochi fossero una gara di
forza e abilità atletica, ma anche di bellezza e di cultura, come
nell’antichità e, infine, una celebrazione dell’amicizia tra le nazioni del
mondo. Per questo il barone sostenne l’alternanza dei paesi nel compito di
organizzare le successive Olimpiadi, osteggiando la volontà dei greci, gelosi
di quella che consideravano “una loro creatura”.
Del
barone molti ricordano il motto “l’importante
è partecipare, non vincere”; in realtà a pronunciare questa frase fu un
vescovo anglicano della Pennsylvania, durante una cerimonia di saluto ai
partecipanti ai Giochi di Londra 1908, il 24 giugno, nella cattedrale di Saint
Paul De Coubertin si limitò a riportarla
(citando la fonte) nel corso di un banchetto qualche giorno dopo. Come da suo
desiderio, il suo cuore fu sepolto ad Olimpia. Con lui è nato lo sport moderno.
Nell’Italia
fascista
Predisporre, preparare e conservare energie fisiche
e morali necessarie alle esigenze belliche: ecco – ideologicamente e nella
prassi – quale era il compito delle scuole del regime. Fiorente divenne
associazionismo ginnastico,
Sapri, Sfilata di giovani “balilla” [3].
Martinetti[4]
, proprio durante il ventennio fascista, nel Manifesto politico futurista all’esaltazione
dello sport aveva dedicato, nel 1913, il seguente emblematico passaggio:
“Culto del progresso e della velocità, dello sport, della forza fisica, del
coraggio temerario e del pericolo, contro l’ossessione della cultura,
l’insegnamento classico, il museo, la biblioteca, i ruderi. Soppressione delle
Accademie e dei Conservatori. Molte scuole pratiche di commercio, industria e
agricoltura. Molti istituti di educazione fisica. Predominio della ginnastica
sul libro”.
Il primo Istituto ISEF per la formazione dei
docenti di educazione fisica nacque proprio in questo periodo su iniziativa del
prof. Gotta ed era ubicato nei pressi del Foro italico in Roma.
Il
Dopoguerra
Nel decennio successivo alla seconda guerra
mondiale la corsa e il ciclismo si imposero come sport dominanti da praticare
e da seguire. Inizia, così, la spettacolarizzazione dello sport dovuto allo
sviluppo abnorme di tutti i mass-media, inizia la corsa ai
records con la medicina sportiva che fa passi da giganti.
Ottenere continue prestazioni record
non è umanamente possibile, inizia l’immissione sul mercato sportivo, da parte di
individui senza scrupoli, di sostanze dopanti[5]
assai nocive per l’organismo. L'uso di sostanze e terapie dopanti è diffuso, malauguratamente,
non solo nello sport professionistico ma
anche in quello dilettantistico e perfino in quello amatoriale.
Dagli anni ‘70 sino ai nostri giorni è il calcio,
lo sport più seguito e praticato dagli
italiani. Attualmente in Italia vi sono 43 Federazioni Sportive nazionali
riconosciute dal CONI, Comitato Olimpico Nazionale Italiano.
In questi ultimi decenni sembra che si faccia sport solo per scolpire
corpi atletici e per ottenere una linea perfetta e non per ottenere il
benessere fisico e psicologico.
Per ottenere benefici fisici dall’attività motoria
non occorre sfiancarsi nelle palestre con assunzione di farmaci pericolosi, non
occorre l’agonismo che conduca alla
vittoria a tutti i costi e con tutti i mezzi, occorre solo una mezz’ora di
camminata veloce al giorno a tutte le età.
Sitografia
http://www.edusport.it
http://www.facchinetti.net
http://www.moldrek.com/sport.htm
http://www.arcilettore.it/?idn=125
http://www.olimpiadi.it/prima/atene/index.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Sport
http://www.comunedisapri.it/storia/sapri_in_fotografia_ieri.htm
[1] Facchinetti Oliviero, psicologo
psicoterapeuta, nato nel 1958, vive a Trento - si è laureato in psicologia nel
1983 e si è diplomato presso
[2] Le tre arti del trivio introducevano alle strutture della lingua
latina, all’analisi logica e semiologia e le quattro arti del quadrivio vertevano sulla conoscenza della realtà del
numero, dello spazio, dell’armonia, dei moti degli astri
[3] Balilla e Piccole italiane
erano bambini e bambine, ragazzi e ragazze dagli 8 ai 14 anni, la cui divisa, ispirata a
quelle delle gerarchie militari, era camicia nera, fazzoletto azzurro, pantaloni grigioverde,
fascia nera e il fez come copricapo. Ogni sabato sfilavano
per le vie di tutte le città e i paesi d’Italia con il moschetto, un
vecchio fucile.
[4] Filippo Tommaso Martinetti, è
conosciuto soprattutto come il fondatore del movimento
futurista, movimento artistico italiano che disprezzava le tradizioni politiche ed artistiche del
passato.
[5] Sostanze dopanti dal sostantivo inglese “dope” , sostanza stimolante. E’ l'uso o abuso di sostanze o
medicinali con lo scopo di aumentare artificialmente il rendimento fisico e le
prestazioni dell'atleta. II doping è un fenomeno con cui si individua
un'infrazione all'etica
sia dello sport che della scienza medica